Oggi 15 Marzo, è la giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, dedicata ai disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, tra cui anoressia e bulimia. Questa ricorrenza è presente da 9 anni che vuole portare ad una maggiore riflessione su questi disturbi. E’ un’iniziativa nata dal padre di una ragazza 17enne che a causa della bulimia ha perso la vita proprio in questo giorno. L’anoressia e la bulimia nervosa colpiscono maggiormente le ragazze con età compresa tra i 15 e i 19 anni, ma l’esordio si abbassa ogni anno di più, colpendo anche la categoria maschile. Fondamentale per questa classe di disturbi è identificarli ed intervenire precocemente, in quanto se non trattati adeguatamente e tempestivamente, aumentano il rischio di danni permanenti a tutto l’organismo, che nei casi più gravi può portare alla morte. In questo lungo anno, caratterizzato da una pandemia globale, abbiamo evidenze di un aggravamento dei disturbi alimentari, soprattutto negli adolescenti. La pandemia sta portando numerosi cambiamenti di tipo sociale e relazionale, questo coinvolge in modo predominante adolescenti e bambini che stanno sperimentando la solitudine, data dal fatto che non si ha più la socializzazione legata all’ambiente scolastico e all’attività fisica. L’isolamento sociale porta ad un aumento dei disturbi alimentari perché la gestione delle emozioni avviene attraverso il sintomo alimentare. Questo sintomo può essere la restrizione dietetica, calorica o cognitiva, che porta a “tagliare” o ridurre la quantità totale di cibo introdotto, o le abbuffate (oggettive o soggettive), le quali consistono nel mangiare in un breve periodo di tempo (circa 2 ore) una grande quantità di cibo con perdita di controllo, ossia l’incapacità di interrompere tali episodi. In un periodo in cui le attività al di fuori di casa sono ridotte al minimo si è evidenziato un peggioramento della preoccupazione relativa al peso e forma del corpo, e della stessa alimentazione, questo evidenzia come i sintomi specifici di tale patologia correlati agli effetti della pandemia creano un ambiente predisponente per l’aggravamento dei sintomi alimentari. Uno studio (Ramalho, S.M., Trovisqueira, A., de Lourdes, M. et al. The impact of COVID- 19 lockdown on disordered eating behaviors: the mediation role of psychological distress. Eat Weight Disord 2021) pubblicato su “Eating and weight disorders” ha preso in esame 325 soggetti con disturbi dell’alimentazione, in prevalenza anoressia nervosa, con lo scopo di capire quali fattori della pandemia (isolamento, paura del contagio, perdita di lavoro) hanno causato lo sviluppo e peggioramento dei sintomi alimentari. Da quanto emerso la paura del contagio e l’isolamento hanno causato un peggioramento nei sintomi alimentari, insieme al ridotto contatto sociale con gli amici e al peggioramento delle relazioni familiari. Ci sono diversi campanelli d’allarme di cui bisogna tenere conto come atteggiamenti molto restrittivi nell’alimentazione, riduzione dell’introito calorico ed eliminazione di alcune categorie di alimenti (spesso carboidrati). Oltre a questi bisogna prestare attenzione alla tendenza all’isolamento, alla misurazione eccessiva del peso o il suo evitamento, alla tendenza a saltare i pasti o la lentezza nel mangiare. Fondamentale è mantenere il normopeso che ci permette di restare in salute e stare bene con noi stessi, imparare ad essere più flessibili e meno giudicanti con noi stessi è la chiave per un buon equilibrio psicofisico.
Quanto le Psicologhe e gli Psicologi si espongono al rischio?
I Rischi delle Psicologhe e Psicologi
Nella idea comune, quasi uno stereotipo, gli Psicologi sono visti come simil veggenti, che leggononella mente, a volte sono considerati come un pericolo (soprattutto per le menti più in difficoltà e a rischio). In realtà gli Psicologi sono anche persone e come tali vanno considerati e trattati, ovvero con rispetto e quel giusto sentimento, tanto da non dimenticare che anche noi da dietro alla nostra scrivania possiamo essere esposti a pericoli. A tal proposito credo e potrebbe essere emblematico riportare un evento che spesso si perpetua, soprattutto per le Psicologhe, ovvero le molestie che passano attraverso un velato tentativo di aiuto e supporto psicologico. Molte volte noi Psicologhe siamo esposte a provocazioni, prevaricazioni, abusi verbali e sessuali, aggressività verable e fisica, subiamo minacce più o meno dirette, in quanto donne. La nostra disponibilità nell’offire le nostre competenze e quell’intimità che da sempre caratterizza le stanze dei nostri Studi, mettiamo a disposizione anche i nostri numeri di telefono per essere più a portata di mano per tutti coloro che nel momento di difficoltà mentale e quotidiana necessitano di poter gridare in silenzio il disagio che rende i loro pensieri affannati…in mezzo a tutta la nostra professionalità ci sono anche chi intravede in questa nostra disponibiltà un’occasione, ma non di terapia bensì di abuso e con parole non troppo velate si insinuano all’interno delle nostre giornate con richieste ben precise. Le Psicologhe e gli Psicologi sono sempre esposti a pericoli mentali e fisici, abusi e violenze, in quanto per il loro ruolo e per la loro missione si espongono e si prendono la responsabilità di agire in prima linea. Anche le Psicologhe e gli Psicologi possono temere per la loro incolumità, ma il senso di responabilità che ci caratterizza e ci accomuna, ci da la voglia e la forza di superare gli abusi, le minacce e le continue persecuzioni che le persone più fragili e in difficoltà ci rivolgono. #psychologistoverabuse #psychology #missionandresponsability
Dal punto psicologico, dopo l’isolamento forzato (a fin di bene!) i risvolti e le conseguenze sono diversi, nello specifico: – Bambini: nei bambini si sta evidenziando (tra i diversi piccoli pazienti presenti nel nostro Studio) un incremento di caduta dell’attenzione, memoria ridotta, scarse stratetigie di apprendimento, iperattività, disturbi del sonno, segno e sintomi che potebbero rientrare nel quadro della depressione, in quanto all’improvviso sono stati bloccati nel loro esprimersi quotidiano, così come sono state bloccate le relazioni sociali e concrete, mentre sono state attivate una serie di compensazioni (come le videochiamate con gli amichetti) che per quanto importanti e all’avanguardia, hanno fatto aumentare il loro senso di isolamento e di frustrazione, esponendoli a una realtà completamente nuova per la quale hanno dovuto imparare molto velocmente nuove strategie per poterla gestire. – Adulti: le modalità riflessive degli adulti nei mesi di isolamento sociale sono state dominanti, e “l’obbligo” di riflessione ha portato molte volte alla revisione di priorità, legami, scelte e decisioni, a tal punto da non poter più ignorare le nuove richieste e dovervi dare un nuovo assetto funzionale. – Anziani: la paura di essere colpiti per primi, e di dover finire le loro esistenze in piena solitudine, ha portato a sviluppare un funzionamento cognitivo del tutto nuovo che li ha portati a essere più pronti ma allo stesso tempo più impauriti di perdere gli affetti prima del tempo. – Realtà a rischio: durante il lockdown le situazioni già a rischio sociale sono state esacerbate, gli abusi fisici, psicologici, sessuali, economici sono aumentati in percentuali molto elevate mettendo le persone coinvolte in condizioni di disperazione e anullamento. – Persone in disagio: nei mesi di lockdown le persone che avevano pregresse situazioni di disagio in realtà si sono rilevate essere “più pronte” della maggior parte della popolazione non a rischio (apparente), dando lezioni di continimento mentale significativo, in quanto l’isolamento è di per sè un fattore mentale, e le persone che lo vivono nella quotidianità sono state più funzionali e adattive. Recenti studi pubblicati sulle riviste più importanti a livello internazionele, hanno sottolineato quanto nei mesi successivi al rilascio del lockdown la popolazione mondiale sarà messa a dura prova a livello emotivo e mentale a tal punto da ipotizzare un possibile incremento dello svilupparsi di disagi mentali molto significativo (per alcuni autori anche fino all’80%).
É una tappa evolutiva, un passaggio di vita che impone al bambino di attraversarla per poter arrivare successivamente nel “mondo” dei giovani adulti.
In questo passaggio di vita, che dura circa dai 12 ai 18 anni, i ragazzi vengono letteralmente scossi da molti e complessi cambiamenti iniziando da quello ormonale sino a arrivare a quello ideologico.
La componente ormonale anche se la più naturale nasconde risvolti secondari molto significativi a livello fisico (come per esempio il cambio della voce nel maschio e lo sviluppo del seno nelle femmine), a livello psicologico (come ad esempio l’esperire emozioni nuove come quella della depressione, tipica di questa età).
E’ questo periodo di vita che ragazzi e ragazze si allontanano ideologicamente e mentalmente dal nucleo familiare per trovare altri esempi da seguire e dai quali ricercare una propria identità, per poi ritornare vicino (se possibile) al modello iniziale della famiglia. In questo lasso di tempo l’adolescente deve fare i conti con tutti i vissuti che durante l’infanzia non sono stati superati e cercare di superarli al meglio senza riportare cicatrici, infatti molto spesso oggi più che in passato i “teenagers” portano con sé un vissuto molto negativo il quale fa sì di appesantire la persona nel suo lungo percorso.
La famiglia in tutto questo gioca un ruolo fondamentale e deve essere in grado di supportare (e sopportare) il caos emotivo che si è scatenato nel figlio; la famiglia gioca un ruolo importante in quanto interessata a sua volta del cambiamento, perché deve essa stessa ritrovare un proprio equilibrio interno, ecco perché tutto l’assetto dovrebbe essere rivisto e modulato nuovamente.
Attualmente l’adolescente, a differenza di anni fa, si trova a gestire diverse identità, le più importanti sono quella corporea (in quanto il corpo è mediatore tra essi e il mondo), quella sociale (in quanto varia in base al ruolo che si intende assumere in un certo contesto) e quella di rete (nuovo tipo di identità che i genitori non sono in grado di cogliere in tutti le sue sfumatura in quanto non ne hanno mai avuta una durante la loro adolescenza, questa identità diventa fluida e multipla all’interno del web, essa avrebbe effetti molto forti anche “off-line”). Tra queste sembra che l’identità di rete sia la più significativa per i nuovi adolescenti, la quale purtroppo se attaccata in modo diretto o indiretto potrebbe portare a comportamenti anche dannosi per la persona.
All’interno di questo contesto lo Psicologo si presenta come una figura di riferimento da una parte per la famiglia e dall’altra per l’adolescente, in quanto entrambi necessitano di un sostegno costante per ritrovare un equilibrio e una nuova definizione di se stessi.
I disturbi dell’alimentazione si manifestano anche in età pre-adolescenziale, e questo dato sta incrementando in modo esponenziale negli ultimi anni, inoltre l’età in cui si intraprendono le prime diete si sta abbassando velocemente.
La Terapia Razionale Emotiva Comportamentale (REBT) può rappresentare un valido supporto, insieme ad azioni di carattere più pratico, per i ragazzi vittime di bullismo, attraverso un lavoro finalizzato a modificare quelli che la REBT chiama pensieri disfunzionali, i quali hanno la caratteristica di essere talmente radicati, rigidi e automatici che non permettono di interpretare la realtà in modo oggettivo.
Oggi i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) rappresentano un’importante fonte di disagio con cui bambini, famiglie, educatori, psicologi e pediatri si devono confrontare.
La depressione è un’emozione con significato e funzione adattiva (sia nel’uomo che nell’animale). Lutti, cambiamenti ed eventi stressanti sono stimoli che nell’uomo possono determinare una reazione depressiva e che inizialmente va considerata come protettiva.
Il suicidio in adolescenza: dolori inascoltati! La tragedia del liceo Frisi
Dati gli ultimi fatti di cronaca, appare sempre più necessaria la figura dello Psicologo Scolastico, per intervenire preventivamente sulla sofferenza
Monza ha vissuto una tragedia, in particolare il liceo Frisi: due ragazzi, rispettivamente di 19 e 18 anni, si sono tolti la vita a distanza di quindici giorni l’uno dall’altro. Stando alle indagini della Polizia non emerge alcun collegamento tra le due tragedie avvenute.
Il suicido rappresenta oggi una delle prime cause di mortalità nella fascia d’età compresa tra i 15 ed i 19 anni, rappresentando una priorità assoluta in termini di prevenzione. L’incidenza intercetta una differenza di genere: i giovani maschi si suicidano più spesso rispetto alle giovani donne. Queste ultime compiono però numerosi tentativi di suicidio e spesso sviluppano una storia clinica di depressione.
L’azione del suicidio è accompagnata nel genere maschile anche dall’abuso di sostanze, quali alcool e droghe, che spesso contribuiscono all’alterazione del comportamento (aggressività e impulsività) determinando l’esito fatale; a differenza del genere femminile in cui lo sviluppo di una storia clinica depressiva induce alla richiesta d’aiuto e dunque alla prevenzione dell’atto suicidario.
E’ utile che lo Stato offra spazi validi ai nostri giovani per pensare a sé stessi anche nei momenti di difficoltà, è utile che lo Stato lavori per il benessere dei nostri ragazzi quando questi sono ancora in vita e non solo per elaborare il lutto con quelli che “restano”. Non agire misure preventive nei luoghi adeguati, come la scuola, in cui i ragazzi passano circa 12 anni della loro vita e circa 1400 ore l’anno significa lasciare difficoltà e dolori completamente inascoltati.
Fattori di rischio e fattori protettivi: i dati per costruire la prevenzione!Abbiamo numerosi dati che ci permettono di identificare quali sono i fattori di rischio, ovvero tutte quelle variabili che tendono a essere presenti con maggior frequenza nei casi di suicidio, rispetto ai fattori preventivi, ovvero tutte quelle variabili che ci indicano quali aspetti “potenziare” per diminuire il rischio di suicidio.
Fattori di rischio:
basso livello socio-economico, scarsa istruzione e disoccupazione;
modelli familiari disfunzionali accompagnati da eventi di vita traumatici. I modelli disfunzionali si caratterizzano per la presenza di un alto livello di conflitto intrafamiliare, la presenza di psicopatologia nel genitore, storie di abuso di sostanze o pregressi tentativi di suicidio da parte del/dei genitori;
alta correlazione con depressione, disturbi d’ansia, disturbi della condotta alimentare, disturbi legati all’abuso di sostanze e in ultimo disturbi psicotici.
Fattori protettivi:
modelli familiari positivi: buoni rapporti fonte di sostgeno emotivo per l’adolescente;
sviluppo della propria personalità attraverso il “potenziamento” delle abilità sociali, incluse la capacità di chiedere aiuto e la capacità di ascolto dell’altro che sia coetaneo o adulto;
modelli socio-culturali: integrazione, benessere relazionale con l’utenza scolastica (gruppo classe ed insegnanti), sostegno.
“Quale depressione? è solo svogliato!”
Mi piace pensare che questi aspetti individuati dalla letteratura clinica servano davvero ad un loro utilizzo concreto, ovvero ad offrire spazi di pensabilità del proprio dolore o semplicemente dei propri dubbi e delle proprie incertezze. Affinché questo accada credo che sia doveroso uscire dalla logica di ricerca “del colpevole”, ma sia urgente pensare a delle indubbie responsabilità che i legislatori hanno a partire dall’innovazione di una grande agenzia educativa: la scuola. Responsabilità che sta nell’innovare concretamente la scuola secondo quelli che sono i bisogni dei nostri ragazzi e del corpo docenti, non sovraccaricando questi ultimi con la richiesta di competenze che il loro ruolo non prevede.
La capacità di cogliere una difficoltà nella fase di “comportamento problema” prima ancora che esso diventi psicopatologia conclamata richiede oggi la presenza di uno Psicologo Scolastico, il cui ruolo non deve essere circoscritto all’ “evento emergenziale” o “post mortem” o ancora al laboratorio previsto nella scuola “fortunata”, ma deve essere un diritto per tutti i ragazzi, per gli insegnanti e le famiglie.
Non avere una figura preposta ad intercettare segnali tipici può portare all’errore fatale di rispondere a dei sintomi con un giudizio personale su questi ultimi creando un circolo vizioso di: inascolto, sofferenza e, in ultimo, di eventi tragici. Quel ragazzo che ci appare svogliato a volte non lo è:
rallentamento psico-motorio;
hopelessness (vissuto di tristezza e melanconia, senza speranza);
anedonia (mancanza di interesse e noia);
astenia (stanchezza fisica);
morosité (disinvestimento nel mondo);
passaggio all’atto auto ed etero aggressivo (abuso di sostanze, comportamenti violenti, tentativi di suicidio)
sono sintomi che non hanno bisogno di un giudizio, ma della giusta competenza per essere riconosciuti ed accolti: “Mentre la compassione non nutre l’autostima, l’empatia la favorisce a partire dalla sospensione del giudizio”. I nostri ragazzi ci chiedono strumenti, in alcuni casi aiuto, ed è ora di sospendere i nostri giudizi e agire!
Il suicidio non è un fulmine a ciel sereno: gli studenti suicidi danno alle persone che li circondano sufficienti avvertimenti e margini di intervento (NESMOS)
ed è proprio di questi margini di intervento che i legislatori sono responsabili. L’Italia resta uno dei pochi Paesi Europei in cui la professione dello Psicologo Scolastico non è riconosciuta, né regolamentata a livello istituzionale. Numerose le proposte di legge a riguardo che ad oggi hanno lasciato il Paese in una situazione di stallo o, meglio ancora, in una situazione di assenza di servizi per bisogni chiaramente emergenti.
L’intervento, non clinico, dello Psicologo Scolastico prevede azioni di promozione del benessere a più livelli:
individuale, destinato al singolo individuo che può essere qualsiasi utente della struttura scolastica;
relazionale, destinato alla relazione di due individui o alle dinamiche di gruppo;
organizzativo e di comunità, destinato al buon funzionamento della scuola intesa come organizzazione complessa.
La scuola potrebbe diventare uno spazio privilegiato di intervento primario, se adeguatamente organizzato, come riferito dal DORS, secondo alcune modalità specifiche orientate alla promozione della salute mentale con:
l’inserimento nei programmi curricolari;
l’articolazione nelle componenti chiave, ovvero promozione della salute, educazione e prevenzione, valutazione dell’intervento e post-intervento;
coinvolgimento di professionisti sanitari che collaborino con insegnanti ed educatori;
estensione al contesto comunità;
valutazione costi – efficacia.
Mi sembra evidente che il costo dell’intervento non sarà mai, per quanto di difficile reperibilità, “inefficace” se l’obiettivo è quello di prevenire la morte di un adolescente.
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